Monumenti della storia garibaldina collegati all’Istituto

Il Compendio garibaldino di Caprera

Per Compendio garibaldino si intende il complesso costituito dagli edifici costruiti dal Generale Giuseppe Garibaldi a Caprera, adibiti a Museo nel 1975, il cimitero di famiglia con la sua Tomba, e dai terreni ed altri edifici contigui. 
La Tomba fu dichiarata Monumento Nazionale con legge n° 6973 del 17.7.1890. Il Sepolcro in granito del Generale, è situato nel cimitero da lui stesso realizzato a pochi metri dalla Casa, dove aveva seppellito nel 1871 la figlia Rosa (di Anita), nel 1875 la figlia Anita (di Battistina Ravello), e dove sono stati sepolti nel 1900 il figlio Manlio (di F. Armosino), nel 1903 la figlia Teresita (di Anita), nel 1923 la terza moglie F. Armosino e nel 1959 l’ultima figlia, Clelia.
 
La Casa, “i terreni da lui coltivati e quelli annessi i fabbricati da lui costruiti nell’isola di Caprera” sono stati dichiarati Monumento Nazionale con la Legge 14 luglio 1907 n. 503.
 
Nei provvedimenti attuativi della legge, si legge: ”si impone al culto degli italiani la elevazione della casa di Garibaldi e del terreno dell’isola al quale l’Eroe aveva dedicato il suo lavoro personale” e ancora “la Giunta si augura che nella casa dove Garibaldi visse e mori, custodita con quella cura e quel decoro che è preciso dovere del Governo, abbiano sede degna i ricordi.”.
 
Nella legge, finanziata con i Decreti leg. vi n.428 e 428. del 14 marzo 1910 (Ministero del Tesoro di concerto con Ministero Difesa), tra l’altro si legge:
”….non può non disconoscersi la convenienza di assicurare allo Stato la libera proprietà di tutta l’isola di Caprera, affinché non solo sia meglio garantita la custodia dei beni dichiarati monumento nazionale, ma l’isola stessa sottratta interamente ad ogni sfruttamento economico, possa in tutto il suo insieme assumere il carattere di monumento storico consacrato alla memoria del Gen. G. Garibaldi…”.

L’Eroe, concluse le infauste ma gloriose pagine della Repubblica romana e dopo la tragedia della morte della sua sposa Anita, dopo varie vicissitudini, imbarcato sulla nave Tripoli, viene mandato in esilio dal governo piemontese. Francesco Millelire, comandante maddalenino della nave che lo trasporta insieme ad un altro maddalenino suo grande amico, Giovanni Battista Culiolo, detto Leggero, riesce a convincere le autorità a trasferire il Generale a La Maddalena, dove giunge il 25 settembre del 1849, in attesa che si decidesse quale fosse il luogo per l’esilio.
Garibaldi viene accolto con entusiasmo dalla popolazione con la quale instaura un rapporto di reciproca amicizia annoverando ulteriori amici, che nel futuro lo assisteranno con fedeltà, fra i quali Giacomo Fiorentino e Antonio Susini e le loro famiglie. Durante questo primo soggiorno gli abitanti di La Maddalena imparano ben presto a conoscere direttamente, al di là della sua fama, le doti dell’Eroe che ha l’opportunità in quel mese di sosta nell’Arcipelago, di visitare anche Caprera per andare a caccia e pesca.
 Il 24 ottobre del ‘49 riparte alla volta di Tangeri e, dopo alterne vicende, che lo portano fin negli Stati Uniti e poi, come comandante di una nave mercantile, naviga lungo le rotte dell’estremo oriente, dall’America del Sud alla Cina, dalle Filippine all’Australia.
Dopo cinque anni Garibaldi può tornare finalmente in Italia, soprattutto a Nizza. Successivamente, in seguito a frequenti viaggi in Sardegna, finisce per innamorarsi dei posti e, stimolato dal legame instaurato con tanti amici sardi, nel 1855 decide di stabilirsi a Caprera, l’isola dove ritrovare se stesso e condurre una vita unita alla natura.
Garibaldi riesce a comprare metà dell’isola grazie all’eredità pervenutagli dal fratello Felice, imprenditore oleario in Puglia, morto a 49 anni; l’altra parte gli perviene invece in dono da parte di una ricca vedova inglese, sua innamorata, Emma Roberts, che l’acquista dalla proprietaria vedova Collins.
Dapprima trova ricovero sotto una tenda, poi in una casupola di pastori che restaura. In seguito si fa trasportare da Nizza una piccola casa prefabbricata in legno. Tra il 1856 e il 1857, diventando numerosa la sua famiglia, comincia la costruzione della casa definitiva che nel 1861 diviene una vera e propria fattoria, con la costruzione della stalla, del fienile, dei magazzini, dell’abbeveratoio, del mulino a vento.

Conclusa, a causa del naufragio della sua imbarcazione (1857), una fase di attività commerciali con Nizza e Genova, ingrandisce la casa anche con l’aggiunta di un prefabbricato in legno e metallo, destinato agli ospiti o adibito a segreteria ed intraprende l’attività di agricoltore cui attenderà per quasi trent’anni,.
 Intanto si forma intorno a lui una aggregazione comunitaria di elementi locali ma anche di amici esterni che vengono a visitarlo, divenendo un punto di riferimento anche di personalità della politica italiane, europee ed extraeuropee, oltre che del movimento patriottico che a lui si ispira.
Anche dopo le successive vicende che lo vedono il protagonista principale del movimento risorgimentale egli ritorna, senza chiedere ricompense o riconoscimenti nella sua isola, vera base operativa delle sue gesta, dove si spegne serenamente.
 
Nella Casa di Garibaldi, percorrendo oggi le austere e semplici stanze e le attigue dipendenze, tra i diversi cimeli (armi, bandiere, utensili, libri, quadri, strumenti musicali) della sua vita quotidiana, i visitatori possono rivivere l’atmosfera dove visse il Generale e trascorse la sua operosa esistenza.
Il Museo è gestito dalla Soprintendenza per i B.A.P.P.A.S.E.. di Sassari del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con la quale anni fa l’Istituto ha convenuto un accordo di consulenza scientifica e storica a favore della valorizzazione museale. (link –www.compendiogaribaldino.it).

Il Mausoleo ossario del Gianicolo

Sul Viale Garibaldi a Roma, al termine della salita che porta al Colle del Gianicolo, nella località detta del Pino, dove nel 1849 si svolse l’ultima strenua difesa di Roma a poca distanza dal monumento equestre dell’Eroe, si trova il Mausoleo Ossario Garibaldino dedicato alla memoria di coloro che donarono la vita per Roma capitale d’Italia.
 
I Caduti per Roma, prima del 1941, erano ricordati sul Gianicolo solo da un cenotafio addossato al parapetto che dal limite della chiesa di San Pietro in Montorio si prolunga sul ciglio dell’altura. Una lapide, deteriorata dal tempo, ricordava, senza riportare alcun nome, il luogo di inumazione dei garibaldini caduti per la difesa di Roma del 1849 dove si trovava l’ossario eretto provvisoriamente nel 1879, per iniziativa di un comitato presieduto da Menotti e dallo stesso Garibaldi e ratificato da una legge: “Il Governo del Re è autorizzato a concedere che siano raccolte sul Gianicolo le ossa di coloro che combattendo morirono per la difesa del 1849 o furono passati alle armi dopo la resa della città, o caddero per la liberazione del 1870” (Gazzetta Ufficiale 28 giugno 1879).
Sulla base di questa autorizzazione iniziano le ricognizioni per ritrovare le salme dei caduti, alcuni dei quali erano stati tumulati al Campo Verano (tra essi anche Aguyar, il Moro di Garibaldi) e soprattutto dei caduti sotto le mura di Roma il 20 settembre del 1870. Le prime tumulazioni nel sepolcreto gianicolense avvengono, con una solenne cerimonia, nello stesso anno 1879. Le altre esumazioni di caduti, sepolti a Villa Borghese, alla Giustiniana e in alcune vigne tra San Pancrazio e Porta Maggiore, vengono effettuate negli anni successivi e deposte nel sepolcreto il 30 aprile 1884.
Il sepolcreto rimane tuttavia abbandonato per molti anni fino alla costruzione dell’attuale Mausoleo ossario.
 
L’attuale Mausoleo, progettato dall’architetto Giovanni Jacobucci (Supino FR 1895 – Roma 1970 ), approvato dal Governatore di Roma, Don Pietro Colonna, viene inaugurato il 3 novembre 1941.
Il monumento, di proprietà del Comune di Roma, nel 1956 viene dato in affidamento simbolico alla Società di Mutuo Soccorso Reduci Garibaldini delle Patrie Battaglie di Roma (da cui emana il presente Istituto) che ne ha promosso la realizzazione e curato la raccolta delle salme dei Caduti per la difesa di Roma nel 1849, per la insurrezione del 1867 e per la liberazione della città nel 1870.
 
Il Mausoleo è costituito da un’ara circondata da un quadriportico.
L’Ara di granito rosso di Baveno (Lago Maggiore) presenta sui quattro lati dei bassorilievi figurazioni allegoriche richiamantisi all’antichità romana come la Lupa capitolina con il cartiglio recante S.P.Q.R., teste leonine, gladi romani, insegne legionarie, ad indicare come la Repubblica romana del 1849 si ispirasse all’antica Repubblica Romana nei suoi valori di democrazia, di primato del bene pubblico, di forza e di sacrificio.
Il Quadriportico in blocchi di travertino, situato su di un piano sopraelevato dalla strada ed al quale si accede tramite una scalinata, è costituito da tre archi a tutto sesto per lato senza copertura; le pareti sono adornate all’interno di elementi allegorici, marmi policromi, bassorilievi ed iscrizioni con versi di Gabriele D’Annunzio tratti dal poema di rievocazioni garibaldine: La notte di Caprera. Sull’attico della facciata principale è scolpita, in rilievo, la scritta: “Ai caduti per Roma 1849-1870” , ed il motto: Roma o morte.

Ai quattro lati sorgono altrettanto pilastri monolitici sormontati da quatripodi di bronzo con teste di lupa (accesi durante le cerimonie) che recano incisi i nomi e le date delle più importanti vicende connesse al ritorno di Roma all’Italia.
Attraverso una duplice gradinata ed un Portone di bronzo, anch’esso decorato da motivi ispirati alla romanità, si accede, sotto la costruzione, al Sacrario costituito da una austera Cripta che raccoglie le ceneri e ne celebra scolpiti i nomi degli innumerevoli caduti, dai più illustri, come Goffredo Mameli, il ventenne poeta soldato, l’autore dell’Inno Nazionale, a Righetto tredicenne trasteverino, morto come tanti altri volontari adolescenti, nel contesto della vicenda rivoluzionaria.
Due lapidi all’interno riportano gli storici ordini del giorno del Municipio e del Triumvirato Romano. In alto è posta una epigrafe a mosaico estrapolata dagli scritti di Mazzini: “Custodi delle glorie paterne. Veglia con voi l’angelo della Patria e l’angelo della Patria e fratello dell’angelo della Vittoria”. Nel centro del Sacrario è collocato un pilastro portante l’ara superiore, ornato con palme e croci votive di alabastro e con la scritta Et facere et pati fortiter romanum est.

Il soffitto del Sacrario, come quello del vestibolo, è eseguito a mosaico in oro. Alla base del mosaico, quale motivo decorativo e commemorativo, la scritta: “Restino perennemente scolpiti nei cuori i nomi di coloro che morirono combattendo per fare più bella e più grande la Patria”. Le pareti sono rivestite di marmi. I pavimenti sono a scomparti geometrici intarsiati e lucidi con motivi allegorici. Nel Sacrario, dietro le pareti, sono disposte le urne degli eroici caduti, i cui nomi sono incisi sulle 36 lapidi che racchiudono i loculi. Nella parete di fondo è la tomba di Goffredo Mameli. Tra i caduti spiccano i nomi di Ciceruacchio, l’eroico popolano Angelo Brunetti, fucilato con due figli a Ca’ Tiepolo, di Giacomo Venezian, ufficiale della II Legione, caduto all’assalto di Vigna Barberini, di Edoardo Negri, l’eroe trentino delle Cinque giornate milanesi caduto sulle mura di Roma nel 1849 e di tutti i caduti delle più importanti battaglie (Vascello, San Pancrazio, nel 1849; Palestrina, Velletri, Monti Parioli e Villa Spada, sempre nel 1849; Aspromonte, nel 1862; Monterotondo e Mentana nel 1867; Villa Glori e Casa Ajani nel 1867; infine, Porta Pia e San Pancrazio nel 1870).

Nel 1989 il Mausoleo Ossario Gianicolense è stato restaurato, con il finanziamento dell’Italgas, a cura dell’Ufficio Monumenti Medievali e Moderni della Soprintendenza Comunale, in occasione del centoquarantesimo Anniversario della Repubblica Romana.
Gli interventi preliminari, effettuati dalla V Ripartizione Edilizia Monumentale, hanno sistemato parte della pavimentazione esterna, dissestata dalle radici degli alberi, deumidificato tutto il complesso, sistemato gli impianti elettrici e riattivato l’impianto a gas che alimenta i quattro bracieri. Le operazioni di restauro hanno, altresì, riguardato la pulitura dei travertini, la rimozione delle alterazioni cromatiche della pietra, la realizzazione delle nuove stuccature, la ripulitura del monolite di granito rosso dalle incrostazioni di smog e polveri atmosferiche ed infine il restauro delle parti in bronzo dei bracieri e del portone della cripta. I pavimenti marmorei, interni ed esterni sono stati ripuliti, stuccati e lucidati. Sono state infine restaurate le scritte delle lapidi, revisionati e verniciati i cancelli esterni, eliminate le numerose scritte a pennarello sulle balaustre e sistemate le lastre di travertino che cingono l’aiuola interna. La sovrintendenza comunale continua attualmente l’attività di restauro e manutenzione.